
ALLISON HUDSON: L’ALCHIMIA DELLA TRASFORMAZIONE
|di Barbara Pavan|
Per Allison Hudson, l’arte è vocazione, talento innato, scelta consapevole — e, soprattutto, una chiamata. Un richiamo che ha provato ad eludere per molti anni, cercando vie più “pratiche”, ma che alla fine si è rivelato ineludibile. I percorsi creativi intrapresi fino ad allora le erano sembrati solo compromessi, tentativi parziali di soddisfare un’esigenza profonda. È stato solo dopo un lungo e involontario allontanamento dalla pratica artistica che Hudson ha riconosciuto il suo autentico cammino: creare arte, e abbracciare pienamente quella parte di sé.

La sua ricerca si manifesta attraverso l’esplorazione incessante dei materiali. Ogni opera nasce come un atto di sperimentazione, un dialogo aperto con la materia. Ama giocare con materiali diversi, interrogandoli per scoprire fino a che punto possono essere manipolati. Il concetto di impermanenza, cardine della sua poetica, guida la scelta delle sue materie prime: tessuto, argilla, cera — elementi destinati a perdere forma, a dissolversi, a trasformarsi in altro. Nell’istante presente, però, possono essere plasmati all’infinito, assumendo forme nuove e sorprendenti, lontane dalla loro natura originaria.


La tattilità è un aspetto imprescindibile del suo processo creativo. La sua pratica è profondamente legata al gesto, al contatto fisico con i materiali. Ogni opera nasce letteralmente tra le mani, attraverso un approccio tanto fisico quanto istintivo. L’artista costruisce, strappa, ricuce — un processo che è insieme atto concettuale e generativo, da cui scaturiscono forme nuove, emancipate dalla materia d’origine.


L’ispirazione che alimenta le sue sculture germoglia spesso in modo intimo e spontaneo. Hudson racconta che molte delle sue creazioni nascono ascoltando musica, sognando a occhi aperti, distesa sul divano. Talvolta abbozza schizzi, ma più spesso affida il processo creativo alle immagini che rimangono impresse nella memoria. Da queste suggestioni prende forma un lavoro fatto di assemblaggi, smontaggi, tagli, cuciture — un processo fluido e aperto, dove l’opera finale spesso si discosta dall’immagine iniziale. Ma proprio in questa metamorfosi risiede il senso più profondo della sua pratica.


Alla base della sua ricerca vi è un impulso interiore potente: la ricerca della verità. È attorno a questa esigenza che si articolano i temi della ciclicità, della rigenerazione, della trasformazione e dell’impermanenza. Attualmente, il suo interesse si concentra sulla sessualità e sulla rappresentazione del corpo e della psiche femminile, declinate attraverso queste lenti concettuali. Eppure, ammette, il significato pieno delle sue opere si rivela spesso solo a posteriori, una volta che il processo creativo è compiuto.
La metamorfosi, per Hudson, è un’esperienza personale e concreta. Come donna che attraversa la metà della vita, si confronta quotidianamente con la trasformazione: fisica, nel mutamento del corpo; spirituale, nello spogliarsi di strati per avvicinarsi a una versione più autentica di sé. Vede l’invecchiamento come un atto di liberazione, una percezione che si riflette nelle sue opere sempre più eteree. I suoi lavori più recenti, quasi impalpabili, si configurano come “pelli” abbandonate, testimonianza di un processo di rinnovamento continuo.
Attraverso le sue opere, desidera stabilire un legame emotivo con l’osservatore. Pur conoscendo il proprio significato interno, lascia che ciascuno vi si accosti liberamente, senza imporre interpretazioni. Si sorprende, anzi, quando il pubblico coglie e rispecchia le sue stesse emozioni, come se riuscisse a intravedere l’intimità del suo pensiero creativo. Se un’opera riesce a toccare, a smuovere qualcosa nell’altro, Hudson la considera pienamente riuscita.

Allison Hudson (Philadelphia, 1969) è un’artista multidisciplinare la cui pratica spazia tra scultura, installazione e textile art, con un approccio materico e sensibile al concetto di trasformazione. Dopo una formazione in Asian Studies presso il Vassar College, ha studiato pittura e scultura all’Università del North Carolina e ceramica nel programma MFA dell’Università dell’Arizona.
Dopo una parentesi decennale come imprenditrice e cake designer di rilievo nazionale, dal 2020 ha ripreso a tempo pieno l’attività artistica, affermandosi in ambito espositivo sia negli Stati Uniti sia in Canada. Tra le mostre personali e installazioni recenti si ricordano Safe Passage (Francis McCray Gallery, WNMU, 2024), Bundle in Repose (InLiquid, Philadelphia, 2024), A Symphony in 8 Parts (James Baird Gallery, Newfoundland, 2024), e Off Label (Automat, Philadelphia, 2024). Ha inoltre partecipato a collettive presso Woman Made Gallery (Chicago), Verum Ultimum (Portland), Gravers Lane Gallery e Mark Borghi (Sag Harbor).


Nel 2024 ha preso parte alla residenza presso la Pouch Cove Foundation (Newfoundland, Canada) e ha ricevuto il riconoscimento Edwina and Charles Milner Women in Arts Award. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, tra cui Western New Mexico University e James Baird Foundation.
