
WEAVING PLACES: LOCATING IDENTITY THROUGH TEXTILE LANGUAGE
Tessere luoghi: localizzare l’identità attraverso il linguaggio tessile
| di Elena Redaelli |

“Attraverso la loro produzione, i materiali e i motivi decorativi, strettamente intrecciati con le storie culturali e sociali di luoghi diversi, i tessuti offrono una lente attraverso cui esplorare le similitudini culturali, le differenze e il cambiamento. I tessuti, in quanto materia, sono radicati in luoghi specifici, ma tracciano anche le nostre migrazioni in tutto il mondo”.
(Kettle, A. 2019)
Con il capitolo espositivo Weaving Places, la curatrice Silvia Colombo e la co-curatrice Ana Victoria Bruno accompagnano il pubblico in un’interessante esplorazione di come le tradizioni tessili riflettano e abbiano contribuito a modellare l’appartenenza geografica e culturale in Norrbotten, regione del nord della Svezia ricca di stratificazioni identitarie. La mostra, parte del programma espositivo Futures 2025 di HAVREMAGASINET a Boden (Svezia), propone un dialogo tra opere d’archivio, creazioni contemporanee e pratiche collaborative, onorando e al tempo stesso ridefinendo il tessile come mezzo espressivo e strumento di mappatura.
Visione curatoriale: il tessile come cartografia femminista
Curata da Silvia Colombo—storica dell’arte con profonde radici nella pratica museale e conoscitrice del patrimonio culturale sia in Italia che in Svezia—e Ana Victoria Bruno—curatrice argentino-italiana il cui lavoro indaga criticamente gli intrecci postcoloniali di tempo e spazio—Weaving Places non è solo una mostra, ma una proposta. Si interroga su come potremmo ripensare il territorio attraverso il filo piuttosto che le mappe, e su come la tessitura sia una potente forma di narrazione culturale anche se tradizionalmente oscurata da sistemi di potere binari.
L’incontro tra l’esperienza di Colombo, legata alla memoria culturale sia internazionale che regionale e lo sguardo curatoriale post-binario e interculturale di Bruno, genera una mostra che attinge all’eredità del tessile come forma di trasmissione di conoscenza di genere, spesso trascurata. La loro ricerca sfida le narrazioni eurocentriche e dominanti della cartografia e della storiografia, abbracciando le radici collettive e spesso femminili del fare tessile. Questo approccio smantella definizioni rigide di “luogo”, proponendo al contrario un tessuto fluido e multi-temporale dell’appartenenza.
Tessuti come topografie della memoria
La selezione di opere in Weaving Places articola una visione estesa del concetto di territorio—non come qualcosa di fisso o delimitato, ma come spazio plasmato da corpi, gesti, desideri e migrazioni. A differenza della cartografia tradizionale, questi tessuti registrano la terra come vissuta ed esperita, non semplicemente posseduta, catalogata e regolata. Ogni artista costruisce su un lessico tessile locale, introducendo nuovi vocabolari radicali e confrontandosi con questioni ecologiche, queer e storiche.
Gammelstads Handväveri: tessere l’identità locale attraverso la collaborazione
Fondata nel 1966 a Luleå, l’arazzeria storica Gammelstads Handväveri ha giocato un ruolo importante sia nell’economia che nel tessuto culturale del Norrbotten. La sua struttura unica — dove tessitrici professioniste collaboravano con artisti visivi — ha permesso una profonda integrazione dell’identità regionale nelle forme tessili. Gli arazzi esposti rappresentano sia un archivio storico che una testimonianza viva di autorialità collettiva.

Crediti fotografici Silvia Colombo
Tra le opere notevoli, Northern Lights di Björn Blomberg, artista nato a Stoccolma ma profondamente legato al paesaggio nordico. L’arazzo cattura l’aurora boreale a livello tecnico e concettuale—trasformando un fenomeno atmosferico effimero in un processo tessile meditativo. L’opera oscilla tra figurazione e astrazione, riflettendo tanto il misticismo quanto la materialità del cielo del nord.

Crediti fotografici Silvia Colombo
In contrasto, Trädsjön di Gull-Britt Johansson rivela il suo approccio lirico al paesaggio tramite una tavolozza più astratta. Intessuta durante il suo periodo prolifico all’Handväveri, l’opera richiama la forma di un lago immerso nel bosco, reso attraverso un gioco espressivo di colori. Il suo arazzo non è solo un’immagine ma anche una mappa emotiva, un invito a leggere le emozioni nei pattern e a situarsi nei colori.
Ida Isak Westerberg: trame queer

Crediti fotografici Silvia Colombo
Con Sompasendräll, Ida Isak Westerberg propone una radicale ridefinizione della tessitura site-responsive. Lavorando a stretto contatto con la torbiera di Sompasenvuorna, Westerberg raccoglie materiali organici—licheni bianchi, radici di betulla, corteccia—intrecciandoli con lana tinta a mano. L’uso della tecnica daldräll, radicata nelle tradizioni del Norrbotten, diventa veicolo per espandere lo spazio queer nel paesaggio. Il loro lavoro sfuma i confini tra natura e tessuto, struttura e morbidezza. Inscrivendo la torbiera—che Westerberg considera uno spazio metaforicamente queer—nel tessuto, l’artista apre a nuove immaginazioni spaziali. Le loro opere sono sia materialmente radicate che ideologicamente espansive, suggerendo che la “queerness”, come la tessitura, è un atto di continua emersione.

Crediti fotografici Silvia Colombo
Stina Edin: performance e mondo tessuto

Crediti fotografici Stina Edin
L’arte tessile di Stina Edin si muove al confine tra performance, scultura e tradizione. In Monday in Maskenkrasch, costruisce un universo ibrido dove l’artigianato incontra il caos. Combinando tessitura digitale, ricamo, specchi frantumati, salvagenti e cavi elettrici, Edin stratifica materiali tattili e simbolici per narrare una mitologia aliena e intima.
Guidata dagli scritti di Ursula K. Le Guin e dalla teorica del tessile Anni Albers, l’opera attinge alla fiction speculativa e alla narrazione femminista. La trama diventa un contenitore per esseri di altri mondi—extraterrestri, queer, giocosi. Non è solo un tessuto, ma un portale.
La sua seconda opera, With You, I Want to Blossom, offre un palcoscenico diverso: un tappeto rosepath usato come scenografia per una performance aperta nella cappella di Yrttivaara. Qui, la tessitura diventa luogo di rituale, narrazione e esperienza intersoggettiva. Elementi figurativi—scheletri, robot, indovine—rimandano all’impermanenza e alla trasformazione. Edin suggerisce che tessere può essere sia santuario che rivolta.

Crediti fotografici Stina Edin
Maja Möller: illusioni ottiche e paesaggi interiori

Crediti fotografici Maja Möller
Il contributo di Maja Möller si concentra sulla percezione e sullo spazio psicologico. La sua opera del 2024, Longing Out (Längta ut), è un arazzo stratificato in cui una cornice intessuta si sovrappone a un’immagine di alberi. Ispirata a disegni di pazienti in un istituto psichiatrico, l’opera parla del desiderio di natura e di libertà—una metafora visiva per la libertà vincolata dalle mura istituzionali.
La dualità tra contenimento ed espansione è potente: gli alberi sembrano dietro le sbarre ma anche spingerle via. L’opera suggerisce che la tessitura stessa possa essere mezzo di liberazione, rendendo l’arte non solo terapeutica ma anche emancipatoria.
In Firmly Tied (Fastknuten), Möller approfondisce il tema concentrandosi sul nodo come fondamento simbolico e concreto della pratica tessile. Resi in trompe l’oeil, i nodi emergono dalla superficie in modo quasi scultoreo. Esaltando questa unità primaria del fare tessile, l’artista richiama l’attenzione sulla tessitura come una delle prime tecnologie umane, un atto primordiale e persistente di creazione.

Crediti fotografici Maja Möller
Conclusione: tessere come pratica per creare mondi
Weaving Places non è solo una mostra: è un tessuto discorsivo, composto da più fili: pensiero femminista, tradizione locale, presenza ecologica e soggettività queer. Proponendo la pratica tessile come connubio di pensiero e fisicità del fare, l’esposizione propone i tessuti come mappe non di territori fissi, ma di esperienze, memorie e desideri.
Grazie alla sensibilità curatoriale, le opere superano aspetti decorativi o nostalgici. Diventano atti di resistenza, memoria e reinvenzione. Che si tratti di un dräll con corteccia di betulla, un paesaggio alieno tessuto digitalmente o un arazzo con alberi visti da una finestra d’ospedale, Weaving Places ci ricorda che tessere è segnare il tempo, legare la comunità e aprire portali verso nuovi modi di conoscere.
In un mondo sempre più diviso e sradicato, questi fili aiutano a cucire nuove forme di appartenenza, con gentilezza.

