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TRA TRAMA E TIMBRO: QUANDO IL TESSUTO SI TRASFORMA IN MUSICA

| di Eleonora Giglione |

Dall’ordito alle vibrazioni sonore, un filo segreto lega telai, partiture e sperimentazioni contemporanee. Una frontiera ancora tutta da tessere.

La storia dell’arte tessile è una sinfonia silenziosa che attraversa millenni. Dietro ogni tappeto nomade, dietro ogni tela medievale, dietro ogni broccato rinascimentale si cela un linguaggio fatto di ritmi, pause e contrappunti. L’ordito e la trama sono come linee melodiche intrecciate; il telaio, uno strumento di composizione tanto quanto un violino o un pianoforte.

Nel XIX secolo, con l’invenzione del telaio Jacquard, la tessitura compie un balzo verso l’astrazione matematica. Le schede perforate utilizzate per controllare il passaggio dei fili non sono che antichi codici binari, antesignani delle memorie digitali. Non a caso Ada Lovelace, la pioniera dell’informatica, intuì che quei pattern meccanici avrebbero potuto “comporre” musica, tessere numeri e dare forma a melodie. Le sue note sul motore analitico di Charles Babbage non descrivevano solo calcoli, ma sognavano un linguaggio universale in cui i fili diventano suoni e i numeri danzano.

Heinz Zemanek, negli anni ’60, sviluppò ulteriormente questa intuizione: i telai non erano solo macchine per produrre stoffe, ma dispositivi per elaborare sequenze, veri e propri “antenati spirituali” dei sintetizzatori digitali. In un laboratorio viennese ancora intriso di atmosfere secessioniste, Zemanek parlava di tessitura come metafora per la programmazione elettronica, unendo rigore scientifico e immaginazione poetica.

Da allora, la tensione tra visibile e udibile si è fatta più urgente. L’artista può oggi tradurre un ricamo tradizionale in una scala musicale: un fiore stilizzato diventa una scala pentatonica, un bordo geometrico si trasforma in un ostinato ritmico. In Giappone, ad esempio, i motivi Sashiko — antichi ricami bianchi su tessuto indaco — possono suggerire cellule ritmiche minime, simili a quelle di un brano minimalista. In Anatolia, i tappeti tribali, con le loro ripetizioni iterative, evocano vere e proprie fughe visive, passaggi che risuonano come polifonie tessute con il filo.

© Isobel Blank, digital sketches for future visions, variable dimensions, 2025

Questa possibilità di “ascoltare” un tessuto o “indossare” una musica apre un dialogo fertile tra passato e presente. La tradizione tessile contiene già la memoria di un popolo: trasporre quei motivi in musica significa far vibrare la storia, amplificarla nello spazio acustico, renderla leggibile con l’orecchio oltre che con l’occhio. La musica contemporanea, con la sua libertà formale e la sua sete di contaminazione, diventa allora il terreno ideale per accogliere questi racconti silenziosi.

Si potrebbe immaginare, ad esempio, un compositore che trasforma le tessiture dei damaschi veneziani in un brano per quartetto d’archi, restituendo la ricchezza decorativa sotto forma di arpeggi sovrapposti. Oppure un tessitore contemporaneo che, ascoltando una composizione elettronica modulare, scelga di variare l’intensità e la densità del filo come se stesse modulando un filtro sonoro.

Sognare una mostra dove i tessuti tradizionali vengano “suonati” da musicisti, generando installazioni immersive, non è utopia: è un invito a far dialogare mani, occhi e orecchie, a riunire gesti antichi e tecnologie d’avanguardia in un’unica esperienza sensoriale.

La tessitura, tuttavia, non è stata solo un linguaggio ornamentale o musicale: in tempi bui, è diventata anche un codice segreto. Durante la Seconda guerra mondiale, alcuni prigionieri di guerra e agenti della Resistenza nascondevano messaggi in tessuti apparentemente innocui. Il maggiore Alexis Casdagli, ad esempio, realizzò un ricamo in cui incluse, lungo il bordo, frasi cifrate in codice Morse, sfuggite agli occhi dei sorveglianti nazisti. “God Save the King” e un invito ironico a Hitler viaggiarono così da cella a cella come fili di speranza. In Belgio e in Francia, le cosiddette knitting spies osservavano i movimenti ferroviari tedeschi e annotavano informazioni cruciali in lavori a maglia: un gettato al posto giusto, una maglia rovescia come segnale. Anche Phyllis Latour Doyle, agente britannica, cuciva messaggi Morse dentro lunghi fili di seta arrotolati nei polsini dei suoi abiti.

Questi esempi mostrano come la tessitura possa trasformarsi in uno spazio narrativo segreto, un vero e proprio palinsesto di resistenza. Quando il filo diventa codice, il gesto domestico si fa atto politico e poetico insieme.

© Isobel Blank, digital sketches for future visions, variable dimensions, 2025

La codifica dei simboli — nel tessile, nel ricamo o nella musica — risponde a un’esigenza profonda dell’essere umano: ordinare il mondo, dargli un significato, riconoscerlo come parte di un universo di segni. Il tessuto, come la musica, è un archivio semantico che raccoglie silenzi, gesti, racconti. La semantica musicale, in particolare, estende questa esigenza di dare senso ai suoni: il timbro diventa parola, la durata si fa respiro, il ritmo diventa ordito. In questo senso, la pratica della notazione grafica contemporanea (Graphic Score) — come nelle opere di Karlheinz Stockhausen (Spiral, Kurzwellen) o Luciano Berio (Sequenza III, Chemins) — avvicina la scrittura musicale al disegno, alla calligrafia e persino al tessuto. L’interprete non legge solo note ma “interpreta” figure, trame, spessori di linea che suggeriscono gesti sonori più che istruzioni rigide.

Quando un ricamo diventa pentagramma, e quando un pentagramma si dissolve in un arazzo astratto, ci troviamo nel cuore di questa esigenza semantica: la creazione di un linguaggio che unisce occhio, mano e orecchio. In un tempo che reclama nuove forme di lettura del mondo, la tensione tra segno tessile e segno musicale ci invita a immaginare alfabeti fluidi, capaci di attraversare materia, suono e memoria.

Chi deciderà di spingersi oltre potrà inventare arazzi sonori, tappeti capaci di raccontare storie in forma di paesaggi sonori, o partiture tattili che suggeriscono melodie a chi le accarezza. In un’epoca che chiede sempre nuove forme di linguaggio, l’incontro tra tessitura e musica non è un capriccio concettuale: è un gesto radicale di riconciliazione tra tradizione e sperimentazione, tra artigianato e scienza, tra memoria e invenzione.

Forse un giorno ci siederemo davanti a un telaio non solo per vedere la bellezza nascere, ma per ascoltarla fiorire, come un canto che si dipana lentamente lungo la trama. In quel momento, il tessuto smetterà di essere puro oggetto e diventerà spartito, racconto, rito. E sarà allora che il silenzio, finalmente, potrà tessere la sua sinfonia.

Fonti e riferimenti