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PUNTI COLLETTIVI PER NUOVE PROSPETTIVE SULL’ARTE TESSILE PARTECIPATA

| di Nikola Filipovic |

Ritratto a Bovino, foto di Stefania Franza, 2025

C’è stato un momento in cui ho smesso di pensare all’opera come qualcosa da firmare, e ho cominciato a considerarla come un gesto collettivo. Al centro della mia ricerca si sono affermati con sempre più forza l’artigianato tessile e l’elaborazione delle tecniche tradizionali. Il mio avvicinamento a queste pratiche è iniziato durante i miei studi all’Accademia di Belle Arti, dove ho sperimentato per la prima volta il potenziale espressivo del materiale tessile. Ho iniziato lavorando con il feltro, attratto dalla sua matericità e dalla capacità di offrire forme piane così come volumi tattili, regalando un’inedita plasticità; in seguito, mi sono avvicinato al ricamo, colpito dalla lentezza del gesto, dal suo carattere meditativo e dalla capacità di lasciare spazio alla riflessione. Attraverso l’utilizzo e la reinterpretazione dei disegni storici, dei pattern e dei materiali, cerco di costruire un linguaggio visivo che sia fortemente legato alle radici, ma capace di aprirsi a nuove narrazioni. La mia attenzione si concentra soprattutto su come queste tecniche possano essere rilette attraverso collaborazioni attive con le comunità e con gli artigiani che ancora oggi ne custodiscono i saperi.

Questa attenzione alle tecniche del passato non è per me una forma di nostalgia, ma un metodo attivo di esplorazione. Rispettare la tradizione implica anche il confronto con chi la custodisce: artigiani, anziani del territorio, comunità locali. Il dialogo con queste persone è essenziale per mantenere l’integrità tecnica delle lavorazioni, ma anche per interrogarmi su ciò che è davvero necessario preservare e su ciò che, invece, può essere trasformato. La collaborazione e l’ascolto sono diventati così elementi centrali della mia metodologia, non solo nei progetti partecipativi, ma anche nel mio lavoro solitario: oggi sono più aperto al confronto, alla critica costruttiva, e riesco ad accogliere suggerimenti esterni come strumenti di crescita, piuttosto che come minacce alla mia visione. Iniziare ad accettare critiche mi ha anche insegnato a diventare meno severo con me stesso e ad affrontare i limiti come occasioni per proseguire la ricerca.

Trame di Comunità, ricamo collettivo, foto di Stefania Franza, 2025

La prima esperienza significativa in questo senso è stata il mio coinvolgimento nell’Atelier Trame Tinte d’Arte, laboratorio tessile del Museo della Civiltà Contadina, situato a San Marino di Bentivoglio, un piccolo centro nella città metropolitana di Bologna. Questo museo, uno dei primi musei di comunità in Mondo, mi ha sorpreso fin dall’inizio per la forte partecipazione locale: in un paese con meno di mille abitanti, ogni evento è vissuto come un momento collettivo, sentito e condiviso. Le cene partecipate, i laboratori e gli incontri periodici mi hanno fatto comprendere il valore profondo del sostegno reciproco, della cura dell’altro, dell’importanza di contare su qualcuno ed essere, a propria volta, punto di riferimento. In Atelier lavoriamo proprio per rafforzare questi legami, costruendo reti attorno all’artigianato tessile, unendo generazioni e offrendo spazi di trasmissione, apprendimento e riscoperta di saperi antichi.

Esistono i draghi in Sardegna?, filet sardo su rete modano, foto di Francesco Gaviano, 2024

A settembre 2024 ho preso parte alla residenza artistica “Tessere Arte”, organizzata da Ottovolante Sulcis a Sant’Antioco, in Sardegna. Qui ho creato l’opera Esistono i draghi in Sardegna?, in collaborazione con l’artigiana locale Graziella Floris. È stata la mia prima esperienza di lavoro diretto con il filet sardo, tecnica che non conoscevo prima. Graziella non solo mi ha trasmesso i fondamenti del filet, ma insieme abbiamo avviato una vera e propria ricerca: siamo partiti dai disegni tradizionali per poi creare nuove forme ispirate all’ambiente circostante. Io proponevo i disegni, lei mi aiutava ad adattarli al linguaggio visivo del filet, mantenendo il rispetto per la tradizione.

Esistono i draghi in Sardegna?, filet sardo su rete modano, dettaglio, foto di Francesco Gaviano, 2024

Un giorno, mentre osservavamo un motivo con un drago, le ho chiesto con tono scherzoso: “Ma esistono davvero i draghi in Sardegna?” E lei ha risposto: “Solo nella mente delle ricamatrici.” Quella frase ha dato il titolo all’opera e riassume perfettamente lo spirito della nostra collaborazione. Due persone di generazioni, nazionalità e background diversi hanno trovato un linguaggio comune, fatto di fiducia, di ascolto e di compromessi. Quest’esperienza mi ha dato modo di vedere quanto possa essere importante, a volte, lasciare il controllo e riconoscere il valore della visione altrui, anche se distante dalla propria.

Trame di Comunità, ricamo collettivo, foto di Stefania Franza, 2025

Poco dopo, ad aprile 2025, ho partecipato alla residenza artistica “Semi nel Vento” a Bovino (FG), organizzata da Netural Coop e il Comune di Bovino. In questa occasione, ho lavorato alla realizzazione di una grande tovaglia in collaborazione con la comunità locale. Il lavoro si è sviluppato nell’arco di un mese, con nove donne del paese che hanno partecipato attivamente, giorno dopo giorno. Abbiamo usato il punto a giorno, una tecnica tradizionale tipica dei corredi nuziali locali, che io non avevo mai praticato prima. Inizialmente, alcune partecipanti erano intimorite dall’ambizione del progetto, ma con il tempo hanno iniziato a proporre modifiche, a personalizzare l’opera, rendendola più complessa e significativa.

La parte più importante, però, è stata la condivisione. Il ricamo è un’attività lenta, che crea spazio per la conversazione, il racconto, la connessione. Fermarsi, lavorare con le mani, parlare: sono gesti semplici, ma fondamentali. In questo contesto intergenerazionale, la trasmissione di tecniche artigianali è avvenuta in modo naturale, privo della rigidità spesso associata all’insegnamento formale. Da questa esperienza mi porto dietro la consapevolezza che le comunità, ovunque, custodiscono un potenziale enorme di conoscenza, creatività e collaborazione. A volte non ne sono nemmeno consapevoli, ma basta creare le condizioni giuste perché emergano forze straordinarie. Mi ha fatto riflettere su quanto potere hanno le persone quando decidono di agire insieme: possono davvero generare trasformazioni profonde, anche senza attendere l’inizio da qualcun altro.

Trame di Comunità, ricamo collettivo, foto di Stefania Franza, 2025

A maggio 2025 ho partecipato al festival Feltrosa, un bellissimo appuntamento annuale dedicato al feltro e all’arte tessile. Durante il mio laboratorio condiviso di ricamo, ho avuto l’occasione di incontrare molte persone con esperienze incredibili: dalla donna che ha partecipato a Woodstock a quella che ha girato il mondo con uno spettacolo di burattini. Feltrosa è uno spazio dove le amicizie nascono attorno alla pratica, alla manualità, al sapere condiviso. Ho scoperto quanto le comunità possano auto-organizzarsi in modo duraturo e affettivo, costruendo reti che si rinnovano di anno in anno, in luoghi sempre diversi. Questa esperienza mi ha mostrato che l’amore per una tecnica può trasformarsi in una forza di coesione e crescita collettiva, anche attraverso forme di auto-organizzazione indipendenti.

Ritengo che la partecipazione non sia soltanto una tecnica o un approccio artistico, ma un potente strumento di trasformazione sociale e culturale. Attraverso il coinvolgimento diretto con le persone – artigiani, membri delle comunità locali, pubblico – l’artista si apre a un confronto autentico che supera i confini tradizionali dell’atelier o della galleria. La partecipazione offre infatti una modalità di relazione in cui il lavoro artistico diventa un processo condiviso, capace di rafforzare i legami sociali e di costruire comunità nel senso più profondo del termine: non semplici aggregazioni di persone, ma reti di supporto, scambio e cura reciproca. In questo senso, l’arte partecipativa genera cambiamento non solo nel risultato estetico finale, ma soprattutto nei rapporti umani che costruisce e rinnova, offrendo nuove possibilità di coesione e crescita collettiva.

Tutte queste esperienze mi hanno fatto comprendere che ciò che conta davvero non è solo l’opera finita, ma il percorso che conduce alla sua realizzazione. Un processo collettivo, fatto di ascolto, di apertura, di errori e revisioni, può portare a risultati esteticamente e concettualmente più ricchi. In alcuni casi, l’esito visivo finale si allontana dalla mia visione iniziale, ma proprio questa distanza diventa un valore, una nuova prospettiva. Oggi, la partecipazione non è solo un metodo: è diventata un linguaggio centrale nel mio percorso artistico, un linguaggio che continua a evolversi.

Negli ultimi anni, il mio modo di fare arte ha cominciato a cambiare. O forse, a trasformarsi in qualcosa che non riguarda solo me. La voce che cerco, oggi, passa sempre più attraverso le voci degli altri.